I lavoratori italiani sono sempre più poveri: dal 2008 il potere d’acquisto è sceso del 9%. Ma c’è una speranza


L’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: -8,7%. Negli stessi anni, il potere d’acquisto dei francesi è aumentato del 5%. Quello dei tedeschi del 15%. A sottolineare la situazione impietosa delle retribuzioni italiane è il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), che confronta il nostro Paese con il resto del mondo – esclusa la Cina – e il G20. Dai grafici è evidente che il potere d’acquisto degli italiani tra il 2006 e il 2024 non è mai cresciuto più di quello nelle aree comparate. Molto spesso non è cresciuto affatto, anzi è diminuito. L’unica eccezione è costituita dal 2021, del tutto insufficiente a colmare un divario abissale. Così come non lo è l’aumento del potere d’acquisto visto negli ultimi tre anni (2021-2024) che rispetto al periodo precedente fa segnare un timidi +2,3%.

Perché i salari italiani non crescono
La spiegazione del rapporto è chiara: il salari italiani non tengono il passo dell’inflazione. E difficilmente lo faranno se non verranno modificati diversi elementi strutturali correlati tra loro: la dimensione ridotta delle imprese, la bassa propensione all’innovazione e agli investimenti, la bassa produttività, la mancata formazione dei lavoratori. C’è però un barlume di speranza: negli ultimi tre anni, la produttività è cresciuta più delle retribuzioni, per la prima volta da 22 anni. Significa che c’è uno spiraglio economico grazie al quale per investire, aumentare gli stipendi e dare respiro agli italiani schiacciati dal crescente costo della vita.
I problemi dei contratti collettivi di lavoro
Tuttavia, analizzano gli esperti dell’Oil, quando gli aumenti sono avvenuti tramite il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, che nel nostro Paese coprono il 90% dei lavoratori dipendenti, non sono stati sufficienti. Ciò avviene anche perché l’indice dei prezzi utilizzato nel rinnovo dei contratti – l’Ipca – non tiene conto dei beni energetici. Ovvero quelli che negli ultimi anni hanno determinato buona parte degli aumenti dei prezzi. Il rapporto evidenzia come la risposta dei Paesi in cui è previsto un salario minimo legale – come Spagna, Francia e Germania – è stata spesso migliore di quella italiana.

I divari per le donne, gli stranieri e i giovani
Infine, il documento mette in luce come in Italia continuino a persistere differenze salariali tra lavoratori di diversi generi, età e nazionalità. Il divario penalizza in particolare i lavoratori stranieri, le donne e i giovani. Nello specifico, il salario mediano degli stranieri è inferiore del 26% rispetto a quello degli italiani che svolgono le stesse mansioni. Le donne percepiscono retribuzioni più basse, spesso costrette al part-time. Anche i giovani, soprattutto i più qualificati, guadagnano meno rispetto ai loro coetanei in altri Paesi avanzati.
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